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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 13/05/2024 09:21
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17/10/2021 10:21
 
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Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, di nuovo, Gesù sconvolge i nostri progetti. Stimolate da Giacomo e Giovanni, sono arrivate fino a noi queste parole piene di autenticità: « Il Figlio dell’uomo non è venuto a farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45).

Quanto ci piace essere ben serviti! Pensiamo, per esempio, quanto gradevole ci risulta la efficacia, la puntualità e la diligenza nei servizi pubblici; o le nostre proteste quando, dopo aver pagato un servizio, non otteniamo quello che aspettavamo. Gesù ci insegna con il Suo esempio. Egli non è solo il servo della volontà del Padre, che include la nostra redenzione, ma, inoltre, paga! E il prezzo del nostro riscatto è il Suo sangue, per mezzo del quale siamo stati redenti dai nostri peccati. Grande assurdità che non riusciremo a capire mai! Egli, il grande Re, il Figlio di Davide, Colui che doveva venire nel nome del Signore, «svuotò sè stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (…) facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). Come sono espressive le immagini di Cristo vestito da Re inchiodato sulla croce! Nella Catalogna in Spagna ce ne sono molte e ricevono il nome di “Santa Maestà”. Consideriamo, in maniera catechetica, che servire è regnare e che l’esercizio di qualsiasi autorità deve essere sempre un servizio.

Gesù rimuove le condizioni di questo mondo in tal modo che riaccomoda il senso delle attività umane. Non è migliore l’impiego che ci distingue di più, ma quello che, realizziamo, più identificati con Gesù-servo, con maggior amore a Dio e ai fratelli. Se crediamo davvero che «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13), allora ci sforzeremo per offrire un servizio di qualità umana e di capacità professionale con il nostro lavoro, pieno di un profondo senso cristiano di servizio. Come diceva Santa Teresa di Calcutta: «Il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace».
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18/10/2021 10:32
 
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«È vicino a voi il regno di Dio»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi nella festa di San Luca –l’Evangelista della mitezza di Cristo-, la Chiesa proclama questo Vangelo nel quale si presentano le caratteristiche centrali dell’apostolo di Cristo.

L’apostolo è, in primo luogo, chi è stato chiamato dal Signore, designato da Lui, al fine di essere inviato in suo nome: è Gesù che chiama chi Lui vuole per affidargli una missione concreta! «Il signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10,1).

L’apostolo, dunque, per essere stato chiamato dal Signore, è anche, quello che dipende completamente da Lui. «Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermativi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,4). Questa proibizione di Gesù ai suoi discepoli indica, soprattutto, che loro devono lasciare nelle sue mani quello che è più essenziale per vivere: il Signore, che veste i gigli dei campi e provvede ad alimentare gli uccelli, vuole che il suo discepolo cerchi, in primo luogo, il Regno dei Cieli e «Non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno» (Lc 12, 29-30).

L’apostolo è, inoltre, chi prepara il cammino del Signore, annunciando la sua pace, guarendo i malati ed esprimendo, così, la venuta del Regno. Il compito dell’apostolo è, dunque, centrale nella Chiesa e per la vita della Chiesa, perché da essa dipende la futura accoglienza al Maestro tra gli uomini.

La migliore testimonianza che ci può offrire la festa di un Evangelista, di uno che ha narrato la Buona Novella, è di renderci più consapevoli della dimensione apostolica-evangelizzatrice della nostra vita cristiana.
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19/10/2021 08:14
 
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«Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze»

Rev. D. Miquel VENQUE i To
(Solsona, Lleida, Spagna)
Oggi, è necessario prestare attenzione a queste parole di Gesù: «siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa» (Luca 12,36). Che gioia scoprire che, anche se sono un peccatore e piccolo, io stesso aprirò la porta al Signore quando Essi venga! Se, nel momento della morte sarò io che apra la porta o la chiuda, nessuno potrà farlo per me. «Persuadiamoci che Dio ci riterrà responsabili non solo delle nostre azioni e parole, ma anche di come abbiamo usato il tempo» (San Gregorio Nazianzeno).

Stare davanti alla porta e con gli occhi aperti è una impostazione fondamentale e alla mia portata. Non posso distrarmi. Essere distratti è dimenticare l'obiettivo, voler andare in paradiso, ma senza una volontà operativa; è fare bolle di sapone, senza un desiderio impegnativo e valutabile. Aver messo il grembiule vuol dire essere in cucina, preparato nei minimi dettagli. Mio padre, che era contadino, diceva che non si può seminare se il terreno è "arrabbiato"; per fare una una buona semina è fondamentale preparare accuratamente il letto di semina e toccare i semi con cura.

Il cristiano non è un naufrago senza bussola, sa da dove viene, dove va e come giungere alla meta; conosce l’obiettivo e i mezzi per andarci e le difficoltà. Prenderlo in considerazione ci aiuterà a vigilare e ad aprire la porta quando il Signore ci avvisi. L'esortazione alla vigilanza e la responsabilità si ripete con frequenza nella predicazione di Gesù per due ovvi motivi: perché Gesù ci ama e ci “sorveglia”; colui che ama non si addormenta. E, perché il nemico, il diavolo, non smette di tentarci. Il pensiero del cielo e dell'inferno non potrà mai distrarci dagli obblighi della vita presente, però è un pensiero sano ed espressivo, e merita le congratulazioni del Signore: "E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,38). Gesù, aiutami a vivere ogni giorno attento e vigile, amandoti sempre.
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20/10/2021 08:14
 
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«Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo»

Rev. D. Josep Lluís SOCÍAS i Bruguera
(Badalona, Barcelona, Spagna)
Oggi, con la lettura di questo frammento del Vangelo, possiamo osservare che ogni persona è un amministratore: quando si nasce, riceviamo tutti un’eredità genetica e delle capacità per realizzarci nella vita. Scopriamo che queste potenzialità e la vita stessa sono un dono di Dio, visto che noi non abbiamo fatto nulla per meritarle. Sono un regalo personale, unico e intrasferibile ed è ciò che ci conferisce la nostra personalità. Sono i “talenti” di cui ci parlò Gesù stesso (cf. Mt 25,15), le qualità che dobbiamo far crescere nel trascorso della nostra esistenza.
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21/10/2021 09:33
 
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Sono venuto a gettare fuoco sulla terra»

+ Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci presenta a Gesù come una persona di grandi desideri: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gesù vorrebbe già vedere il mondo bruciare, ma bruciare di carità e virtù. Quasi niente! Deve affrontare ancora la prova di un battesimo, cioè, della croce, che avrebbe già voluto superare. Naturalmente! Gesù ha dei progetti in mente, e ha premura per vederli già realizzati. Potremmo dire che si tratta di una premura dovuta ad una santa impazienza. Anche noi abbiamo idee e progetti, e li vorremmo vedere realizzati subito. Il tempo interferisce. «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (Lc 12,50), disse Gesù.

È lo stress della vita, l'inquietudine vissuta dalle persone che hanno grandi progetti. D’altra parte, chi è privo di desideri è un pusillanime, un morto, un ostacolo. Inoltre è una persona triste, amareggiata, abituata a sfogarsi criticando coloro che lavorano. Ma tutti sappiamo che sono le persone che si muovono che generano movimento intorno a sé; sono quelle che avanzano che permettono agli altri di avanzare con loro.

Abbi grandi desideri! Punta in alto! Cerca la perfezione personale, familiare, professionale, apostolica... (delle tue opere, quella degli incarichi che ti confidano I santi hanno aspirato al massimo. Non ebbero paura dinanzi allo sforzo e alla tensione. Si mossero. Muoviti anche tu! Ricorda le parole di Sant’Agostino: «Se dici basta, sei perduto. Aggiungi sempre, cammina sempre, avanza sempre; non ti fermare per strada, non retrocedere, non deviare. Si ferma colui che non avanza; retrocede colui che ripensa nel punto di partenza, si svia colui che apostata. È meglio uno zoppo che va per il cammino che colui che corre fuori dal cammino». E aggiunge: «Esaminati ma non accontentarti con quel che sei se vuoi arrivare a quello che non sei. Perché nello stesso istante in cui ti compiaccia, ti sarai fermato». Ti muovi o stai fermo? Chiedi aiuto a Maria Santissima, Madre della Speranza.
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22/10/2021 08:50
 
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Come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?»

Rev. D. Frederic RÀFOLS i Vidal
(Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù vuole che alziamo il nostro sguardo verso il cielo. Stamattina, dopo tre giorni di pioggia ininterrotta, il cielo è apparso luminoso e chiaro in uno dei giorni più splendenti di quest’autunno. Cominciamo a capire il tema del cambio del tempo, giacché adesso i meteorologi sono quasi di famiglia; invece si fa fatica a capire in quale tempo siamo e viviamo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12,56). Molti tra quelli che ascoltavano Gesù lasciarono perdere un’occasione unica nella storia di tutta l’Umanità. Non videro in Gesù il Figlio di Dio. Non capirono il tempo, l’ora della salvazione.

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione “Gaudium et Spes” (4), attualizza il Vangelo di oggi: «Pende sulla Chiesa il dovere permanente di scrutare a fondo i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo (...) E’ necessario, perciò, conoscere e capire il mondo in cui viviamo e le sue speranze, le sue aspirazioni, il suo modo di essere, frequentemente drammatico».

Quando osserviamo la storia, non costa molto segnalare le occasioni perse dalla Chiesa, per non aver scoperto il momento allora vissuto. Ma, Signore, quante occasioni non avremo perso adesso per non aver saputo scoprire i segni dei tempi, vale a dire non vivere ed illuminare la problematica attuale con la luce del Vangelo? «Perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57), ci torna a ricordare Gesù.

Non viviamo in un mondo di cattiveria, sebbene ce ne sia abbastanza. Dio non ha abbandonato il suo mondo. Come ricordava san Giovanni della Croce, abitiamo in una terra sulla quale è vissuto lo stesso Dio e che Lui ha colmato di bellezza. Santa Teresa di Calcutta percepì i segni dei tempi, ed il tempo, il nostro tempo, ha compreso santa Teresa di Calcutta. Che lei ci sproni. Continuiamo a guardare verso l’alto senza perdere di vista la concretezza.

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23/10/2021 10:03
 
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«Venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)
Oggi, le parole di Gesù ci invitano a meditare sugli inconvenienti dell’ipocrisia: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò» (Lc 13,6). L’ipocrita finge di essere ciò che non è. Questa bugia giunge al massimo quando si finge virtù (aspetto morale) essendo vizioso, o devozione (aspetto religioso) al cercare interessi propri e non a Dio. L’ipocrisia morale abbonda in tutto il mondo, la religiosa danneggia la Chiesa.

Le invettive di Gesù contro gli scribi e i farisei –più chiare e dirette in altri passaggi del vangelo- sono terribili. Non possiamo leggere o ascoltare quel che abbiamo appena letto o sentito senza che queste parole ci arrivino in fondo al cuore se veramente le abbiamo ascoltate e comprese.

Lo dirò al plurale personale, poiché tutti sperimentiamo la distanza che vi è tra l’apparenza e quel che davvero siamo. Lo siamo i politici quando approfittiamo del paese proclamando che siamo al suo servizio; i corpi di sicurezza quando proteggiamo a gruppi corrotti in nome dell’ordine pubblico; il personale sanitario quando sopprimiamo vite incipienti o terminali in nome della medicina; i mass media quando falsifichiamo le notizie e pervertiamo gli spettatori dicendo loro che li stavamo divertendo; gli amministratori di fondi pubblici quando deviamo una parte di questi fondi nelle nostre tasche (individuali o di partito) e ci vantiamo di pubblica onestà; i laicisti quando impediamo la dimensione pubblica della religione in nome della libertà di coscienza; i religiosi quando viviamo mantenuti dalle nostre istituzioni con infedeltà allo spirito e alle esigenze dei fondatori; i sacerdoti quando viviamo dell’altare pero non serviamo con abnegazione i nostri parrocchiani con spirito evangelico, e così via...

Ah!: ed anche tu ed io, nella misura in cui le nostre coscienze ci dicono quel che dobbiamo fare e desistiamo di farlo per dedicarci unicamente a vedere la pagliuzza nell’occhio altrui senza volere renderci conto della trave che acceca nostro. O no?

Gesù, Salvatore del mondo, Salvaci dalle nostre piccole, medie e grandi ipocrisie
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25/10/2021 08:27
 
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Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato...»

Rev. D. Francesc JORDANA i Soler
(Mirasol, Barcelona, Spagna)
Oggi, vediamo Gesù compiere una azione che proclama il suo messianismo e, dinanzi a ciò, il capo della sinagoga, indignato, rimprovera la gente affinché non venga a farsi curare in sabato: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato» (Lc 13,14).

Mi piacerebbe che centrassimo la nostra attenzione sull’atteggiamento di questo personaggio. Sono sempre rimasto colpito da come, davanti a un miracolo palese, qualcuno sia in grado di chiudersi in modo tale che ciò che vede non lo impressiona minimamente. È come se non avesse visto quanto è appena accaduto e quello che ciò significhi. La ragione sta nell’esperienza erronea delle mediazioni che molti ebrei avevano in quel tempo. Per svariati motivi –antropologici, culturali, progetto divino- è inevitabile che tra Dio e l’uomo ci siano mediazioni. Il problema è da cercarsi nel fatto che alcuni ebrei fanno della mediazione un assoluto. In modo tale che la mediazione non li mette in comunicazione con Dio, bensì rimangono nella loro propria mediazione. Dimenticano il senso ultimo rimanendo nel puro mezzo. In questo modo, Dio non può comunicare loro le Sue grazie, i Suoi doni, il Suo amore e pertanto la sua esperienza religiosa non arricchirà la loro vita.

Questa mancata esperienza li porta a vivere la religione in modo rigorista, a rinchiudere il loro dio in puri mezzi. Si costruiscono un dio su misura non lasciandolo entrare nelle loro vite. In questa loro religiosità credono che tutto si risolva compiendo norme. È quindi da comprendere la reazione di Gesù: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?» (Lc 13,15). Gesù rivela l’assurdità di questa erronea concezione del sabbath.

Questa Parola di Dio dovrebbe aiutarci ad esaminare la nostra propria religiosità e rivelarci se realmente le mediazione delle quali facciamo uso ci pongono in comunicazione con Dio e con la vita. Solo dopo l’adeguata esperienza delle mediazioni possiamo capire la frase di Sant’Agostino: «Ama e fa ciò che vuoi».
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28/10/2021 08:48
 
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Gesù se ne andò sul monte a pregare»

+ Rev. D. Albert TAULÉ i Viñas
(Barcelona, Spagna)
Oggi contempliamo un intero giorno della vita di Gesù. Una vita con due aspetti molto chiari: la preghiera e l’azione. Se la vita del cristiano deve imitare quella di Gesù, non possiamo prescindere da entrambe le dimensioni. Tutti i cristiani, anche quelli che si sono consacrati alla vita contemplativa, devono dedicare dei momenti alla preghiera e altri all’azione, anche se può variare il tempo che vi dedichiamo. Perfino i monaci e le monache di clausura dedicano parecchio tempo della loro giornata al lavoro. Come contropartita, noi che siamo più “secolari” se desideriamo imitare Gesù, non dovremmo impegnarci in un’azione sfrenata senza consacrarla con la preghiera. Ci insegna san Girolamo: «Anche se l’Apostolo ci comandò di pregare sempre, (...) perciò è conveniente dedicare delle ore determinate a questo esercizio».

Aveva bisogno Gesù di questi lunghi momenti di preghiera da solo mentre tutti dormivano? I teologi studiano quale fosse la psicologia dell’uomo Gesù: fino a che punto aveva un accesso diretto con la divinità, e fino a che punto era «egli stesso messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). A misura che lo consideriamo più vicino, la sua “pratica” di preghiera sarà un esempio evidente per noi.

Assicurata già la preghiera, solo ci rimane imitarlo nell’azione. Nel frammento di oggi, lo vediamo mentre “organizza la Chiesa”, ossia mentre sceglie coloro che saranno i futuri evangelizzatori, chiamati a continuare la sua missione nel mondo. «Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,13). Poi lo incontriamo mentre cura ogni tipo di malattia. «Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19), ci dice l’evangelista. Perché la nostra identificazione con Lui sia totale, solo manca che anche da noi esca una forza che guarisca tutti e ciò sarà possibile se, come i tralci nella vite, rimaniamo in Lui, per poter dare molto frutto. (cf. Gv 15,4).
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29/10/2021 08:35
 
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«È lecito o no guarire di sabato?»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi centriamo il nostro interesse sulla questione struggente che Gesù fa ai farisei: «È lecito o no guarire di sabato?» (Lc 14,3), e l'annotazione significativa da Luca: «Ma essi tacquero» (Lc 14,4).

Sono molti gli episodi evangelici in cui il Signore rimprovera i farisei la loro ipocrisia. Notevole è il desiderio di Dio per farci chiaro quanto Lui spiace questo peccato —la falsa apparenza, l’ inganno presuntuoso—, che è agli antipodi di quella lode di Cristo a Natanaele: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità» (Gv 1,47). Dio ama la semplicità del cuore, l’ingenuità di spirito e, tuttavia, respinge con forza l'intreccio, lo sguardo torbido, il doppio animo, l’ ipocrisia.

Il significativo della domanda del Signore e la risposta in sordina dei farisei è la cattiva coscienza che, in sostanza, avevano. Davanti c'era un paziente che voleva essere guarito da Gesù. Il compimento della Legge ebraica -mera attenzione ai testi in spregio dello spirito- e la presunzione sciocca di condotta impeccabile, porta loro ad essere colpiti dell’ l'atteggiamento di Cristo chi, guidato dal suo cuore misericordioso, non si lascia legare per il formalismo di una legge, e vuole restituire la salute a chi mancava essa.

I farisei, si rendono conto che il loro comportamento ipocrita non è giustificabile e quindi taciono. In questo brano traspare una chiara lezione: la necessità di comprendere che la santità è il seguimento di Cristo —fino all’innamoramento pieno— e non il freddo adempimento di precetti giuridici. I comandamenti sono santi perché provengono direttamente dalla infinita Sapienza di Dio, ma è possibile viverli in modo legalistico e vuoto e, allora arriva l'incongruenza —autentico sarcasmo— di far finta di seguire Dio per finire andando dietro noi stessi.

Lasciamo che l'affascinante semplicità della Vergine Maria s’imponga nelle nostra vite.
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30/10/2021 09:15
 
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«Notando come sceglievano i primi posti...»

Rev. D. Josep FONT i Gallart
(Getafe, Spagna)
Oggi, avete fatto caso come inizia questo Vangelo? Loro, i farisei, lo stavano osservando e anche Gesù li osserva: «Notando come sceglievano i primi posti» (Lc 14,7) Che forma così diversa di osservare!

L’osservazione, come tutte le attività interne ed esterne, è molto differente secondo la motivazione che la provoca, secondo i moventi interni, e d’accordo con quello che c’è nel cuore dell’osservatore. I farisei – come ci dice il Vangelo in diversi passaggi- osservano Gesù per accusarLo. Gesù, invece, osserva per aiutare, per servire, per fare il bene. E, come una madre sollecita, consiglia: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto» (Lc 14,8).

Gesù dice con parole quello che Lui è e quello che ha nel Suo cuore: non cerca onori ma di onorare; non pensa nel proprio onore ma in quello del Padre. Non pensa a Sé ma agli altri. Tutta la vita di Gesù è una rivelazione di chi è Dio : “Dio è amore”.

Perciò, in Gesù diventa realtà – più che in chiunque altro- il Suo insegnamento: «Svuotò Se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (...) Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,7-9).

Gesù è il Maestro in opere e parole. I cristiani vogliamo essere Suoi discepoli. Solo possiamo avere la stessa condotta del Maestro, se nel nostro cuore abbiamo ciò che aveva Lui, se abbiamo il Suo Spirito, lo Spirito d’amore. Lavoriamo per aprirci totalmente al Suo Spirito e per lasciarci prendere e possedere totalmente da Lui.

E questo senza pensare di esserne “elogiati”, senza pensare a noi, ma solo a Lui. «Anche se non ci fosse il cielo, io ti amerei; anche se non ci fosse l’inferno, ti temerei; così come Ti amo, io Ti amerei» (Autore anonimo o forse Miguel de Guevara?) Lasciamoci trasportare sempre dall’amore!
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31/10/2021 08:40
 
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«Qual è il primo di tutti i comandamenti?»

Rev. D. Ramón CLAVERÍA Adiego
(Embún, Huesca, Spagna)
Oggi, è molto di moda parlare di amore per i fratelli, di giustizia cristiana, ecc. Ma appena si parla dell'amore a Dio.

Per ciò dobbiamo fissarci nella risposta di Gesù all'avvocato, che, con la migliore intenzione dice: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?" (Mc 12,29), e non c’è da sorprendersi perché tra tante leggi e regolamenti, i Giudei cercavano di stabilire un principio che unificasse tutte le formulazioni della volontà di Dio.

Gesù risponde con una orazione semplice che, ancora oggi, gli ebrei recitano diverse volte al giorno, e portano scritta addosso: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza"(Mc 12,29-30). In altre parole, Gesù ci ricorda che, in primo luogo, dobbiamo proclamare la primazia dell'amore a Dio come compito fondamentale dell'uomo, e questo è logico e giusto, perché Dio ci ha amati per primo.

Tuttavia, Gesù non si accontenta con ricordarci questo comandamento primordiale e basico ma aggiunge che si deve amare il prossimo come se stessi. E, come dice il Papa Benedetto XVI, "Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell'amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo."

Ma un aspetto che non si commenta è che Gesù ci ordina di amare il nostro prossimo come noi stessi, non più di uno stesso, ma neanche meno; da ciò si deduce che ordina di amare noi stessi, poiché finalmente, siamo ugualmente opera delle mani di Dio e creature sue, amate da Lui.

Se abbiamo, quindi, come regola di vita il doppio comandamento dell'amore di Dio e del prossimo, Gesù ci dice: "Non sei lontano dal regno di Dio" (Mc 12,34). E se viviamo questo ideale, faremo della terra una prova generale del cielo.
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01/11/2021 07:10
 
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«Rallegratevi ed esultate»

+ Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)
Oggi celebriamo la realtà di un mistero salvatore espresso nel "credo" che risulta molto confortante: «Credo nella comunione dei Santi». Tutti i Santi, dalla Vergine Maria, che sono già passati alla vita eterna, formano un'unità: sono la Chiesa dei beati a chi Gesù loda: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Allo stesso tempo, sono anche in comunione con noi. La fede e la speranza non possono unirci perché loro godono già la visione eterna di Dio; ma ci unisce invece l’amore che non passa mai (cf. 1Cor 13,13); questo amore che ci unisce con loro allo stesso Padre, allo stesso Cristo Redentore e allo stesso Spirito Santo. L'amore che li rende solidari e premurosi verso di noi. Ecco quindi che noi non veneriamo i Santi solo per il loro esempio, ma soprattutto per l'unità nello Spirito di tutta la Chiesa, che è rafforzata dalla pratica dell'amore fraterno.

Questa unità profonda fa sì che ci sentiamo vicini a tutti i Santi che, già prima di noi, hanno creduto e sperato e, soprattutto, hanno amato il Dio Padre e i suoi fratelli gli uomini, cercando di imitare l'amore di Cristo.

I Santi Apostoli, i Santi Martiri, i Santi Confessori che sono esistiti nel corso della storia sono, pertanto, nostri fratelli e intercessori; in essi hanno trovato compimento queste parole profetiche di Gesù: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12). I tesori della loro santità sono beni di famiglia, con i quali possiamo contare. Questi sono i tesori del cielo che Gesù ci invita ad accumulare (cf. Mt 6,20). Come dice il Concilio Vaticano II, «La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine» (LG 49). Questa solennità ci dà una notizia confortante che ci invita alla gioia e alla festa.
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01/11/2021 07:10
 
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«Rallegratevi ed esultate»

+ Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)
Oggi celebriamo la realtà di un mistero salvatore espresso nel "credo" che risulta molto confortante: «Credo nella comunione dei Santi». Tutti i Santi, dalla Vergine Maria, che sono già passati alla vita eterna, formano un'unità: sono la Chiesa dei beati a chi Gesù loda: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Allo stesso tempo, sono anche in comunione con noi. La fede e la speranza non possono unirci perché loro godono già la visione eterna di Dio; ma ci unisce invece l’amore che non passa mai (cf. 1Cor 13,13); questo amore che ci unisce con loro allo stesso Padre, allo stesso Cristo Redentore e allo stesso Spirito Santo. L'amore che li rende solidari e premurosi verso di noi. Ecco quindi che noi non veneriamo i Santi solo per il loro esempio, ma soprattutto per l'unità nello Spirito di tutta la Chiesa, che è rafforzata dalla pratica dell'amore fraterno.

Questa unità profonda fa sì che ci sentiamo vicini a tutti i Santi che, già prima di noi, hanno creduto e sperato e, soprattutto, hanno amato il Dio Padre e i suoi fratelli gli uomini, cercando di imitare l'amore di Cristo.

I Santi Apostoli, i Santi Martiri, i Santi Confessori che sono esistiti nel corso della storia sono, pertanto, nostri fratelli e intercessori; in essi hanno trovato compimento queste parole profetiche di Gesù: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12). I tesori della loro santità sono beni di famiglia, con i quali possiamo contare. Questi sono i tesori del cielo che Gesù ci invita ad accumulare (cf. Mt 6,20). Come dice il Concilio Vaticano II, «La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine» (LG 49). Questa solennità ci dà una notizia confortante che ci invita alla gioia e alla festa.
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02/11/2021 10:03
 
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«Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno»

Fra. Agustí BOADAS Llavat OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi il Vangelo evoca il fatto più fondamentale del cristiano: la morte e risurrezione di Gesù. Facciamo oggi nostra la preghiera del Buon Ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). «La Chiesa non prega per i santi come prega per i defunti, i quali dormono già nel Signore, ma li affida alle loro preghiere» diceva Sant’Agostino in un sermone. Una volta all’anno, almeno, i cristiani ci interroghiamo sul senso della nostra vita e sul senso della nostra morte e risurrezione. E`questo il giorno della commemorazione dei fedeli defunti, della quale Sant Agostino ci ha mostrato la distinzione dalla festa di Tutti i Santi.

Le sofferenze dell’Umanità sono le stesse che quelle della Chiesa e, senza nessun dubbio, hanno in comune il fatto che ogni sofferenza umana è in qualche modo privazione di vita. Pertanto, la morte di una persona cara produce in noi un dolore indicibile che neppure la fede può alleviare. Per questa ragione gli uomini hanno sempre voluto rendere onore ai defunti. La memoria, in effetti, è un modo per rendere presenti gli assenti, di perpetuare la loro vita. Tuttavia i meccanismi psicologici e sociali, con il trascorrere del tempo, attutiscono i ricordi. Se questo può umanamente essere angosciante, cristianamente, grazie alla risurrezione, troviamo la pace. Il vantaggio di credere in essa è che ci permette di fare affidamento al fatto che, nonostante l’oblio, torneremo a ritrovarli nell’altra vita.

Un secondo vantaggio del credere è che, al ricordare i defunti, preghiamo per loro. Lo facciamo dal di dentro, in intimità con Dio, e ogni volta che preghiamo assieme, nell’Eucaristia: non siamo soli davanti al mistero della morte e della vita, ma lo condividiamo con i membri del Corpo di Cristo. Inoltre: vedendo la Croce sospesa tra cielo e terra, sappiamo che si stabilisce una comunione tra noi e i nostri defunti. Per questo San Francesco proclamò riconoscente: «Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella, la morte corporale».
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04/11/2021 08:45
 
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«Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte»

Rev. D. Francesc NICOLAU i Pous
(Barcelona, Spagna)
Oggi, l’evangelista della misericordia di Dio ci presenta due parabole di Gesù che mettono in rilievo la condotta divina verso i peccatori che ritornano sul buon cammino. Con l’immagine così umana dell’allegria ci svela la bontà di Dio che si compiace del ritorno di chi si era allontanato dal peccato. E’ come far ritorno alla casa del Padre (come dirà più esplicitamente in Lc 15,11-32. Il Signore non venne a condannare il mondo, ma a salvarlo (cf. Gv 3,17), e lo fece accogliendo i peccatori che con piena fiducia «si avvicinavano a Gesù per ascoltarLo» giacché Lui curava loro l’anima come un medico cura il corpo degli ammalati (cf. Mt 9,12). I farisei si consideravano buoni e non sentivano il bisogno del medico, ed è per loro –dice l’evangelista- che Gesù propose le parabole che oggi leggiamo.

Se noi ci sentiamo spiritualmente ammalati, Gesù ci assisterà e si rallegrerà per essere ricorsi a Lui. Se, invece, come gli orgogliosi farisei, credessimo di non aver bisogno di chiedere perdono, il Medico divino non potrebbe attuare in noi. Dobbiamo riconoscerci peccatori ogni volta che recitiamo il Padrenostro, giacché in esso diciamo «perdona i nostri peccati...». E quanto dobbiamo esserGli riconoscenti del suo perdono! Quanta gratitudine dobbiamo avere pure del sacramento della riconciliazione che ha messo a portata di mano così compassionevolmente! Che la superbia non ce lo faccia disdegnare. Sant’Agostino ci dice che Gesù Cristo, Dio-Uomo ci diede esempio di umiltà per guarirci dal “tumore” della superbia, giacché grande miseria è l’uomo superbo, ma ancora più grande misericordia è Dio umile».

Diciamo ancora che la lezione che Gesù da ai farisei risulta esemplare anche per noi; non possiamo allontanare da noi i peccatori. Il Signore vuole che ci amiamo come Lui ci ha amato (cf. Gv 13,34) e dobbiamo sentire una gioia enorme quando possiamo riportare all’addiaccio una pecora sbandata o ricuperare una moneta smarrita.
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05/11/2021 09:21
 
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«I figli di questo mondo (...) sono più scaltri dei figli della luce»

Mons. Salvador CRISTAU i Coll Vescovo Auxiliare de Terrassa
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci presenta una questione apparentemente sorprendente. In effetti, il testo di San Luca dice: «Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8).

Evidentemente, qui non ci viene proposto l’essere ingiusti nelle nostre relazioni, e ancor meno con il Signore. Non si tratta, quindi, di un elogio alla frode commessa dall’amministratore. Quel che Gesù vuole sottolineare con questo esempio è denunciare l’abilità nel risolvere gli affari di questo mondo e la mancanza di vero ingegno da parte dei figli della luce nella costruzione del Regno di Dio: « I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8).

Tutto questo ci dimostra –ancora una volta- che il cuore dell’uomo continua ad avere gli stessi limiti e povertà di sempre. Oggi giorno parliamo del traffico d’influenza, di corruzione, di improvviso arricchimento, di falsificazione di documenti... più o meno come all’epoca di Gesù.

Ma la questione che da questo ne deriva è doppia: Pensiamo forse di poter ingannare Dio con la nostra apparenza, con la nostra mediocrità di cristiani? E, parlando di astuzia, dovremmo parlare anche di interesse. Siamo davvero interessati nel Regno di Dio e della Sua giustizia? È frequente la mediocrità nelle nostre risposte come figli della luce? Gesù disse anche, lí dove ci sia il tesoro ci sarà il nostro cuore (cf. Mt 6,21). Qual’è il nostro tesoro nella vita? Dobbiamo esaminare i nostri desideri per conoscere dove si trovi questo nostro tesoro... A questo proposito, Sant’Agostino ci dice: «Il tuo anelito continuo è la tua voce continua. Se smetti di amare, tacerà la tua voce, tacerà il tuo desiderio».

Forse oggi, dinnanzi al Signore dovremmo chiederci quale debba essere la nostra astuzia come figli della luce, cioè la nostra sincerità nelle relazioni con Dio e con i nostri fratelli. «In verità, la vita è sempre una scelta: tra onestà e ingiustizia, tra fedeltà e infedeltà, tra bene e male (...). In definitiva –dice Gesù- dobbiamo deciderci» (Benedetto XVI).
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06/11/2021 09:31
 
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«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti»

Rev. D. Joaquim FORTUNY i Vizcarro
(Cunit, Tarragona, Spagna)
Oggi, Gesù parla nuovamente con autorevolezza: usa il «Io vi dico», che racchiude in sé una particolare forza di nuova dottrina. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (cf 1Tm 2,4). Lui ci vuole santi e ci segnala oggi alcuni punti necessari per raggiungere la santità ed essere in possesso della certezza: la fedeltà nel piccolo, l’autenticità e il non perdere mai di vista che Dio conosce i nostri cuori.

La fedeltà nel piccolo è a portata di mano. Le nostre giornate sono spesso modellate da quel che chiamiamo “normalità”: lo stesso lavoro, le stesse persone, pratiche di pietà, la stessa famiglia... In queste realtà ordinarie è dove dobbiamo realizzarci come persone e crescere in santità. «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto» (Lc 16,10). È necessario far bene ogni cosa, con retta intenzione, con il desiderio di piacere a Dio, nostro Padre fare le cose per amore ha un gran valore e ci prepara per ricevere il “vero”. Che bene lo esprimeva San Josémaria: “Hai visto come hanno innalzato quell'edificio grandioso? —Un mattone, poi un altro. Migliaia. Ma a uno a uno. —E sacchi di cemento, a uno a uno. E blocchi squadrati, che contano ben poco rispetto alla mole dell'insieme. —E pezzi di ferro. — E operai che hanno lavorato giorno dopo giorno, le stesse ore... Hai visto come hanno innalzato quell'edificio grandioso?... — A forza di cose piccole!” (Cammino, n. 823).

Un buon esame di coscienza ogni sera ci aiuterà a vivere con purezza di intenzioni e non perdere mai di vista che Dio lo vede tutto, anche i pensieri più segreti, come abbiamo imparato nel catechismo, e quel che è importante è piacere a Dio in ogni cosa, il nostro Padre, che noi dobbiamo servire per amore, tenendo conto che «Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro» (Lc 16,13). Non dimentichiamolo mai: «Solo Dio è Dio» (Benedetto XVI).
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08/11/2021 11:24
 
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«Se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te (...), tu gli perdonerai»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci parla di tre temi importanti. In primo luogo, la nostra attitudine verso i bambini. Se in altre occasioni ci è stata elogiata l’infanzia, in questa ci si avverte del male che si può occasionargli.

Scandalizzare non è sconvolgere o stupire, come a volte si interpreta; la parola dal greco usata dall’evangelista “Skandalon”, che significa oggetto che fa inciampare o scivolare, una pietra nel cammino, o una buccia di banana per capirci. Il bambino deve essere molto rispettato, e guai a colui che lo inizi nel peccato! (cf. Lc 17,1). Gesù gli annuncia un castigo terribile e lo fa con una immagine molto eloquente. Tuttavia si trovano in Terra Santa pietre di mulino antiche. Sono come una specie di grandi diavoli (assomigliano anche solo che in maggior misura ai collari che si mettono al collo dei traumatizzati). Imporre la pietra allo scandalizzatore e gettarlo in acqua esprime un terribile castigo. Gesù usa un linguaggio quasi di umor nero. Poveri noi se danneggiamo corrompendo i bambini! Poveri noi se li iniziamo nel peccato! Ci sono tanti modi per danneggiarli: mentire, ambizionare, trionfare ingiustamente, dedicarsi a mestieri che soddisfano la vanità...

In secondo luogo, il perdono. Gesù ci chiede di perdonare tante volte come sia necessario, e anche nello stesso giorno, se l’altro è pentito, anche se ci brucia l’anima: «se tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo, ma se si pentirà, perdonagli» (Lc 17,3). Il termometro della carità è la capacità di perdonare.

In terzo luogo la fede: più che una ricchezza dell’intendimento (in senso veramente umano), è uno “stato d’animo’’, frutto della esperienza di Dio, di poter agire contando con la sua fiducia. «la fede è l’inizio della vera vita», disse San Ignazio di Antioquia. Chi attua con fede ottiene opere sorprendenti, così lo esprime il Signore: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe» (Lc 17,6)
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09/11/2021 08:24
 
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Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi nella festa universale della Chiesa, ricordiamo che anche se Dio non può essere racchiuso fra le pareti di nessun edificio del mondo, fin dall’antichità l’uomo ha sentito la necessità di riservare degli spazi che promuovano l’incontro personale e comunitario con Dio. All’inizio del cristianesimo, i luoghi d’incontro con Dio erano le case private, nelle quali si radunavano le comunità per la preghiera e la frazione del pane. La comunità riunita era – come è anche oggi- il tempio santo di Dio. Con il passare del tempo, le comunità costruirono edifici dedicati alle riunioni liturgiche, la predicazione della Parola e la preghiera. Ed è così come nel cristianesimo, dopo la persecuzione della libertà religiosa nell’Impero Romano, apparvero le grandi Basiliche, fra le quali, quella di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma.

San Giovanni in Laterano è il simbolo dell’unità di tutte le chiese del mondo con la Chiesa di Roma, è per questo che la Basilica ostenta il titolo di Chiesa principale e madre di tutte le Chiese. La sua importanza è superiore a quella della stessa Basilica di San Pietro in Vaticano, che in realtà non è una cattedrale, ma è un santuario edificato sulla tomba di San Pietro e luogo della attuale residenza del Papa che, come Vescovo di Roma, ha nella Basilica in Laterano la sua cattedrale.

Però non possiamo perdere di vista il vero luogo di incontro dell’uomo con Dio, l’autentico tempio, è Gesù. Per questo, Lui ha completa autorità per purificare la casa di suo Padre e pronunciare queste parole: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Jn 2,19). Grazie all’offerta della sua vita per noi, Gesù ha fatto dei credenti un tempio vivo di Dio. Per questa ragione il messaggio cristiano ci ricorda che tutta persona umana è sacra, ed è abitata da Dio, e non possiamo profanarla usandola come un mezzo.
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10/11/2021 09:06
 
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«Si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo»

P. Conrad J. MARTÍ i Martí OFM
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù passa intorno a noi per farci vivere la scena anteriore, con un aria realistica, nella persona di tanti emarginati come ce ne sono nella nostra società, che si fissano nei cristiani per trovare in essi la bontà e l'amore di Gesù. In tempi del Signore, i lebbrosi erano parte della tenuta degli emarginati. In realtà, quei dieci lebbrosi andarono a incontrare Gesù all'ingresso di un villaggio (cfr Lc 17,12), perché non potevano entrare nei paesi, e nemmeno avevano permesso per approcciarsi alla gente (“si fermarono a distanza”).

Con un po di immaginazione, ognuno di noi è in grado di riprodurre l'immagine degli emarginati della società, che hanno nomi come noi: immigrati, tossicodipendenti, criminali, persone con AIDS, disoccupati, poveri... Gesù vuole ripristinarli, rimediare le loro sofferenze, solvere i loro problemi; e ci chiede collaborazione disinteressata, gratuita, efficace... per amore.

Inoltre, facciamo più presente in ciascuno di noi la lezione che Gesù dà. Noi siamo peccatori e bisognosi di perdono, siamo poveri che aspettano tutto da Lui. Saremmo in grado di dire come il lebbroso, «Gesù, maestro, abbi pietà di me» (Lc 17,13)? Sappiamo rivolgerci a Gesù con preghiera profonda e fiduciosa?

Imitiamo il lebbroso, che torna a Gesù per ringraziarlo? Infatti, soltanto «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio» (Lc 17:15). Gesù non trova gli altri nove, «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?» (Lc 17,15). Sant'Agostino ci lasciò questa dichiarazione: «'Grazie a Dio': non c'è nulla che si possa dire più brevemente (...) ne fare con più profitto di queste parole». Per tanto, noi, come ringraziamo Gesù per il grande dono della vita, propria e della famiglia; la grazia della fede, la Santa Eucaristia, il perdono dei peccati...? Non succede qualche volta di non ringraziare per l'Eucaristia, anche se partecipiamo spesso de essa? L'Eucaristia è, senza dubbio, la nostro miglior esperienza di ogni giorno.
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11/11/2021 08:09
 
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«Il regno di Dio è in mezzo a voi!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi, i farisei domandano a Gesù una cosa che ci ha sempre attratti, con un insieme di interesse, di curiosità e di paura...: Quando verrà il Regno di Dio? Quando sarà il giorno definitivo, la fine del mondo, il ritorno di Cristo per giudicare i vivi ed i morti nel giudizio finale?

Gesù disse che ciò è imprevedibile. L’unica cosa che sappiamo è che verrà improvvisamente, senza previo avviso: sarà «come la folgore, guizzando» (Lc 17,24), un successo improvviso, e allo stesso tempo colmo di luce e di gloria. Riguardo alle circostanze, la seconda venuta di Gesù resta nel mistero. Gesù, però, ci da una traccia autentica e sicura: da questo momento «il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21). O, meglio ancora:«dentro di voi».

Il grande avvenimento dell’ultimo giorno sarà un fatto universale, ma succede anche nel microcosmo di ogni cuore. E’ lì dove bisogna andare a cercare il Regno. E’ nel nostro intimo dov'è il Cielo, dove dobbiamo trovare Gesù.

Questo Regno, che comincerà in una forma imprevedibile “fuori”, può cominciare fin d’ora “dentro” di noi. L’ultimo giorno si svolge fin d’adesso in ciascuno di noi. Se l’ultimo giorno vogliamo entrare nel Regno, dobbiamo lasciar entrare adesso il Regno in ognuno di noi. Se vogliamo che Gesù in quell’ultimo momento sia il nostro giudice misericordioso, lasciamo che Lui sia adesso il nostro amico ed ospite in noi stessi.

San Bernardo, in un sermone del tempo di Avvento, parla di tre venute di Gesù. La prima venuta, quando s’incarnò; l’ultima, quando verrà come giudice. C´è una venuta intermedia, che è quella che ha luogo adesso nel cuore di ciascuno di noi. E’ lì dove si fanno presenti, a livello personale e di esperienza, la prima e l’ultima venuta. La sentenza che Gesù pronuncerà il giorno del Giudizio, sarà quella che risuoni adesso nel nostro cuore. Ciò che non è ancora arrivato, è già fin d’ora una realtà.
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12/11/2021 08:57
 
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Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)
Oggi, nel contesto predominante di una cultura materialista, molti agiscono come ai tempi di Noè: «Mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito» (Lc 17,27); o come i coetanei di Lot che «(...)compravano, vendevano, piantavano, costruivano» (Lc 17,28). Con una visione così miope, l’aspirazione suprema di molti si riduce alla loro propria vita fisica temporanea e, conseguentemente, tutto il loro sforzo va orientato a conservare questa vita, a proteggerla e ad arricchirla.

Nel brano del Vangelo che stiamo commentando, Gesù vuole contrastare questo concetto frammentario della vita che mutila l’essere umano e lo porta alla frustrazione. E lo fa mediante una sentenza seria e schiacciante, capace di smuovere le coscienze e di obbligare all’impostazione di domande fondamentali: «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva» (Lc 17,33). Meditando su questo insegnamento di Gesù Cristo, dice sant’Agostino: «Che dire, dunque? Verranno condannati tutti quelli che fanno queste cose, cioè, quelli che si sposano, piantano vigne e costruiscono? No, loro no! Ma quelli che si vantano di queste cose, quelli che antepongono queste cose a Dio, quelli che sono disposti ad offendere immediatamente Dio per tali cose».

In realtà, chi perde la vita per averla voluto conservare se non colui che è vissuto esclusivamente per la carne, senza lasciar emergere lo spirito; o peggio ancora, colui che vive pieno di sé, ignorando completamente gli altri? Perché è evidente che la vita nella carne deve perdersi inevitabilmente, e la vita nello spirito, se non viene condivisa, si indebolisce.

Ogni vita, per sé stessa, tende naturalmente alla crescita, alla esuberanza, a fruttificare ed a riprodursi. Se, invece, viene sequestrata e rinchiusa, nell’intento di possederla con cupidigia ed in forma esclusiva, appassisce, diventa sterile e muore. Per questo motivo, tutti i santi, prendendo come modello Gesù che intensamente visse per Dio e per gli uomini, hanno offerto generosamente la propria vita in diversi modi nel servire Dio ed i loro simili.
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13/11/2021 07:51
 
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«Pregare sempre, senza stancarsi mai»

+ Rev. D. Joan FARRÉS i Llarisó
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, negli ultimi giorni dell’anno liturgico, Gesù ci esorta a pregare, a rivolgerci a Dio. Possiamo pensare come i padri e le madri di famiglia che aspettano - ogni giorno! – che i loro figli dicendo loro qualcosa, e dimostrino il loro affetto amoroso.

Anche Dio, che è Padre di tutti, lo aspetta. Gesù ce lo ripete molte volte nel Vangelo e sappiamo che parlare con Dio è praticare l’orazione. L’orazione è la voce della fede, del nostro credere in Lui, della nostra fiducia, e magari fosse anche sempre la manifestazione del nostro amore.

Affinché la nostra preghiera sia perseverante e fiduciosa, dice san Luca che «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Sappiamo che la preghiera si può fare lodando il Signore ringraziandolo, o riconoscendo la propria debolezza umana – il peccato -, implorando la misericordia di Dio, ma la maggior parte delle volte sarà di richiesta per qualche grazia o favore. E, anche se non si ottiene per il momento quello che si chiede, il solo fatto di potersi rivolgere a Dio, il fatto di poter raccontare a questo Qualcuno la pena o la preoccupazione, sarà già il conseguimento di qualcosa e sicuramente –sebbene non immediatamente ma nel tempo– otterrà risposta, perché «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7).

San Giovanni Climaco, a proposito di questa parabola evangelica, dice che «quel giudice che non temeva Dio cede all’insistenza della vedova per non avere più il fastidio di ascoltarla. Dio farà giustizia all’anima, vedova di Lui a causa del peccato, di fronte al corpo, suo primo nemico, e di fronte ai demoni, suoi avversari invisibili. Il Divino Commerciante saprà scambiare bene le nostre buone mercanzie, mettere a disposizione i suoi grandi beni con sollecitudine amorosa ed essere pronto ad accogliere le nostre suppliche».

Perseveranza nella preghiera, fiducia in Dio. Tertulliano diceva che «solo la preghiera può vincere Dio».
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13/11/2021 07:51
 
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«Pregare sempre, senza stancarsi mai»

+ Rev. D. Joan FARRÉS i Llarisó
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, negli ultimi giorni dell’anno liturgico, Gesù ci esorta a pregare, a rivolgerci a Dio. Possiamo pensare come i padri e le madri di famiglia che aspettano - ogni giorno! – che i loro figli dicendo loro qualcosa, e dimostrino il loro affetto amoroso.

Anche Dio, che è Padre di tutti, lo aspetta. Gesù ce lo ripete molte volte nel Vangelo e sappiamo che parlare con Dio è praticare l’orazione. L’orazione è la voce della fede, del nostro credere in Lui, della nostra fiducia, e magari fosse anche sempre la manifestazione del nostro amore.

Affinché la nostra preghiera sia perseverante e fiduciosa, dice san Luca che «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Sappiamo che la preghiera si può fare lodando il Signore ringraziandolo, o riconoscendo la propria debolezza umana – il peccato -, implorando la misericordia di Dio, ma la maggior parte delle volte sarà di richiesta per qualche grazia o favore. E, anche se non si ottiene per il momento quello che si chiede, il solo fatto di potersi rivolgere a Dio, il fatto di poter raccontare a questo Qualcuno la pena o la preoccupazione, sarà già il conseguimento di qualcosa e sicuramente –sebbene non immediatamente ma nel tempo– otterrà risposta, perché «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7).

San Giovanni Climaco, a proposito di questa parabola evangelica, dice che «quel giudice che non temeva Dio cede all’insistenza della vedova per non avere più il fastidio di ascoltarla. Dio farà giustizia all’anima, vedova di Lui a causa del peccato, di fronte al corpo, suo primo nemico, e di fronte ai demoni, suoi avversari invisibili. Il Divino Commerciante saprà scambiare bene le nostre buone mercanzie, mettere a disposizione i suoi grandi beni con sollecitudine amorosa ed essere pronto ad accogliere le nostre suppliche».

Perseveranza nella preghiera, fiducia in Dio. Tertulliano diceva che «solo la preghiera può vincere Dio».
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14/11/2021 08:58
 
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«Egli è vicino»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi cordiamo che, all’inizio dell’anno liturgico, la Chiesa ci preparava alla prima venuta di Cristo che ci porta la salvezza. A due settimane dalla fine dell’anno, ci prepara per la seconda venuta, quella, in cui verrà pronunciata l’ultima e definitiva parola su ognuno di noi.

Dinanzi al Vangelo di oggi potremmo pensare che con troppa anticipazione ci si mette a riflettere ma, «Egli è vicino» (Mc 13,29). E, tuttavia, risulta fastidioso –addirittura scorretto!- alludere alla morte nella nostra società! Comunque, non possiamo parlare di risurrezione senza pensare che dobbiamo morire. La fine del mondo, per ognuno di noi, ha origine il giorno in cui moriamo, il momento in cui finirà il tempo che ci è stato concesso per la “scelta”! Il Vangelo è sempre una Buona Nuova e il Dio di Cristo è il Dio della Vita; perché dunque tanta paura? Non sarà, forse, per l’assenza o la debolezza della nostra speranza?

Innanzi alla prossimità di questo giudizio dobbiamo saperci trasformare in giudici severi, non degli altri, ma di noi stessi. Non cadere nella trappola dell’autogiustificazione, del relativismo o nell’espressione “io non lo vedo così…”. Gesù ci vien dato attraverso la Chiesa, e, con Lui, i mezzi e le risorse affinché questo giudizio universale non risulti il giorno della nostra dannazione condanna ma uno spettacolo, molto interessante nel quale, finalmente, verranno pubblicamente conosciute le verità più occulte dei conflitti che tanto hanno tormentato gli uomini.

La Chiesa annuncia che abbiamo un Salvatore, Cristo, il Signore. Allora meno paure e più coerenza nel nostro attuare in ciò i cui crediamo! «Quando arriveremo alla presenza di Dio, ci si domanderanno due cose: se eravamo nella Chiesa e se lavoravamo nella Chiesa. Tutto il resto non ha valore» (Beato J.H. Newman). La Chiesa non solo ci insegna una forma di morire, ma pure una forma di vivere per poter risuscitare. Perché ciò che predica non è il messaggio suo, ma è il messaggio di Colui, la cui parola è fonte di vita. Solamente da questa speranza affronteremo con serenità il giudizio di Dio.
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15/11/2021 10:04
 
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«La tua fede ti ha salvato»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, il cieco Bartimeo (cf. Mc 10,46) ci offre una lezione di fede, espressa con franca sincerità davanti a Cristo. Quante volte ci converrebbe ripetere la stessa esclamazione di Bartimeo!: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18-37). E’ così utile per la nostra anima sentirci indigenti! Il fatto è che lo siamo e che, sfortunatamente, poche volte lo riconosciamo davvero e..., naturalmente, ricadiamo nella ridicolaggine. Così ce l’avverte san Paolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7).

Bartimeo non ha vergogna di sentirsi com’è. In non poche occasioni, la società, la cultura di quello che è “politicamente corretto”, vorrà farci tacere; con Bartimeo non ci riuscirono. Lui non cedette. Nonostante che «lo rimproveravano perché tacesse, (...) lui gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,39). Che meraviglia! Vien voglia di dire: -Grazie, Bartimeo, per questo esempio!

Vale la pena di fare come lui, perché Gesù ascolta. E ascolta sempre, nonostante la baldoria che alcuni organizzino attorno a noi! La fiducia semplice (naturale) –senza sottigliezze- di Bartimeo disarma Gesù e gli ruba il cuore: «ordinò che lo conducessero e (...) gli domandò: ”Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Lc 18,40-41). Dinnanzi a una fede così grande, Gesù, senza perifrasi, e . . . Bartimeo neppure: «Signore, che io veda di nuovo!» (Lc 18,40-41). Detto e fatto: «Abbi di nuovo la tua vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc18,42). Perché « la fede se è forte, difende tutta la casa» (sant’Ambrogio), cioè tutto gli è possibile.

Lui è tutto; Egli ci da tutto. Allora cos'altro possiamo fare davanti a Lui se non darGli una risposta di fede? E questa “risposta di fede” significa “lasciarsi trovare” da questo Dio che, -mosso dal suo affetto di Padre- ci cerca da sempre. Dio non ci si impone, ma passa frequentemente molto vicino a noi: impariamo la lezione di Bartimeo e... non lasciamola passare inavvertitamente!
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16/11/2021 11:31
 
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«Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvareciò che era perduto»

Rev. D. Enric RIBAS i Baciana
(Barcelona, Spagna)
Oggi, Zaccheo sono io. Questo personaggio era ricco e capo di pubblicani; io ho più di quanto abbia bisogno e forse molte volte agisco come un pubblicano e mi dimentico di Cristo. Gesù, nella moltitudine, cerca Zaccheo; oggi, in mezzo a questo mondo, cerca precisamente me: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).

Zaccheo desidera vedere Gesù; non ci riuscirà se non si sforza e sale sull’albero. Tante volte vorrei anch'io vedere l’azione di Dio, ma non so se sono veramente disposto a cadere nella ridicolaggine agendo come Zaccheo. La disposizione del capo dei pubblicani di Gerico è necessaria perché Gesù possa agire; e se non si affretta, chissà perda l’unica opportunità di essere toccato da Dio e così di salvarsi. Forse ho avuto molte opportunità di incontrarmi con Gesù e chissà sia già ora di essere coraggioso, di uscire di casa, di incontrarLo e di invitarLo ad entrare dentro di me, perché Lui possa dire anche di me: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9-10).

Zaccheo lascia entrare Gesù in casa sua e nel suo cuore, sebbene non si senta troppo degno di tale visita. In lui, la conversione è totale: comincia con la rinuncia all’ambizione delle ricchezze, prosegue con il proposito di dividere i suoi beni e finisce determinando di fare giustizia, correggendo i peccati commessi. Forse Gesù mi sta chiedendo qualcosa di simile da molto tempo, io però non voglio ascoltarlo, faccio orecchie da mercante; ho bisogno di convertirmi.

Diceva san Massimo: «Non c’è nulla di più caro e piacevole a Dio come che gli uomini si convertano a Lui con un pentimento sincero». Che Lui mi aiuti oggi a farne una realtà.
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17/11/2021 07:53
 
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«Fatele fruttare fino al mio ritorno»

P. Pere SUÑER i Puig SJ
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci propone la parabola delle mine: una quantità di denaro che quel nobile distribuì tra i suoi servi, prima di partire per un paese lontano. Anzitutto consideriamo l’occasione che provoca la parabola di Gesù. Egli andava “salendo” a Gerusalemme, dove lo aspettavano la Passione e la Risurrezione. I discepoli «Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Ed è in queste circonstanze quando Gesù propone questa parabola. Con essa, Gesù ci insegna che dobbiamo far fruttificare i doni e le qualità che Egli ci ha dato. Non sono “nostri” quindi non possiamo fare tutto ciò che vogliamo. Egli ce li ha lasciati per farli fruttificare. Quelli che hanno fatto fruttare le mine —più o meno— sono lodati e premiati per il suo Signore. É il servo pigro, che mise i soldi da parte in un fazzoletto senza farlo rendere, è colui che è rimproverato e condannato.

Il Cristiano, dunque deve aspettare —È chiaro!— il ritorno del suo Signore, Gesù. Però con due condizioni, se si vuole che l’incontro sia amichevole, la prima è allontanare la curiosità malsana di voler sapere l’ora del solenne e vittorioso ritorno del Signore. Verrà, disse in un altro momento, quando meno lo pensiamo. Via per tanto le speculazioni su questo! Aspettiamo con speranza, però in un’attesa fiduciosa senza curiosità malsana. La seconda è di non perdere il tempo. L’attesa dell’incontro e della fine gioiosa non può essere una scusa per non prenderci sul serio il presente. Precisamente, perché la gioia e il piacere dell’incontro finale sarà tanto migliore quanto maggiore sia la apportazione che ognuno abbia fatto per la causa del regno nella vita presente.

Non manca, neanche qui, la grave avvertenza di Gesù a quelli che si ribellano contro di Lui: «E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me» (Lc 19,27).
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18/11/2021 08:21
 
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«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!»

Rev. D. Blas RUIZ i López
(Ascó, Tarragona, Spagna)
Oggi, l’immagine che ci presenta il Vangelo è quella di un Gesù che «pianse» (Lc 19,41) per la sorte della città eletta, che non ha riconosciuto la presenza del suo Salvatore. Conoscendo le notizie che si son avute negli ultimi tempi, ci risulterebbe facile applicare questo lamento per la città che è, allo stesso tempo santa e motivo di divisioni.

Ma, guardando più avanti, possiamo identificare questa Gerusalemme con il popolo eletto, che è la Chiesa, e –per estensione- con il mondo in cui questa deve compiere la sua missione. Così facendo, ci troveremo davanti a una comunità che, sebbene abbia raggiunto quote altissime nel campo della tecnologia e della scienza, geme e piange, perché vive circondata dall’egoismo dei suoi membri, perché ha alzato attorno a sé le mura della violenza e del disordine morale, perché scaraventa a terra i suoi figli, trascinandoli con le catene di un individualismo disumanizzante. Infine, quello che troviamo è un popolo che non ha saputo riconoscere il Dio che la visita (cf. Lc 19,44).

Tuttavia, noialtri cristiani non possiamo fermarci alle semplici lagnanze, non dobbiamo essere profeti di sventure, ma uomini di speranza. Conosciamo il finale della storia, sappiamo che Cristo ha fatto cadere le mura e ha rotto le catene: le lacrime che verte in questo Vangelo prefigurano il sangue con cui ci ha salvati.

Di fatto, Gesù è presente nella sua Chiesa, specialmente per mezzo di quelli che sono i più bisognosi. Dobbiamo riconoscere questa presenza per capire la tenerezza che Cristo ha verso di noi: è così eccelso il suo amore, ci dice sant’Ambrogio, che Lui si è fatto piccolo ed umile affinché noi possiamo diventare grandi; Lui si è lasciato stringere tra le fasciature di un bambino comune, perché noi siamo liberati dai lacci del peccato; Lui si è lasciato inchiodare sulla croce, perché noi possiamo essere enumerati tra le stelle del cielo...Perciò, dobbiamo essere riconoscenti verso Dio, e scoprire presente tra noi Colui che ci visita e ci salva.
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