Violenza nei videogiochi!

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Snake One
00martedì 9 novembre 2004 02:33
bah, io lo posto qui:

Sempre più numerosi sono gli psicologi che si sono interessati al problema della violenza nei videogiochi ed alle possibili ricadute che essa potrebbe avere sui giovani, fornendo così una vastissima serie di opinioni caratterizzate dalla più totale eterogeneità: alcuni ritengono i giochi elettronici altamente dannosi, altri, al contrario, li considerano benefici per lo sviluppo cognitivo dei giovani, altri ancora, infine preferiscono non esprimere un giudizio definitivo e generale proponendo di valutare di volta in volta la pericolosità dei singoli prodotti.

Indubbiamente il più feroce detrattore dei videogiochi rimane Eugene Provenzo, professore di educazione all’Università di Miami, che nel suo Video Kids: Making Sense of Nintendo li accusa di spingere i ragazzi alla follia, e di erodere il loro spirito di squadra e la loro moralità. Questo perché nel mondo dei videogiochi “ogni persona pensa per se. È necessario uccidere o essere uccisi, consumare o essere consumato, combattere o perire”. La continua necessità di sparare, senza un vero motivo, senza nessuna necessità di ragionare, che caratterizzerebbe, secondo Provenzo, tutti i videogiochi, sottoporrebbe i giovani ad un vero e proprio lavaggio del cervello, creando degli automi capaci unicamente di pensare e vivere egocentricamente, pronti ad esplodere ogni momento in insani atti di violenza. Anche la figura dell’eroe, che da solo combatte contro i malvagi, sarebbe altamente dannosa in quanto inculcherebbe nei ragazzi una pericolosa sfiducia nella legge e nei tradizionali e legali sistemi di giustizia.

Le tesi di Provenzo, non suffragate da nessun tipo di prova oggettiva, appaiono spesso dettate da un odio cieco e inspiegabile nei confronti dei videogiochi di cui fra l’altro l’autore dimostra una conoscenza più che approssimativa. Tuttavia le sue tesi sono state più volte riprese sia negli Stati Uniti che in altri paesi, tra i quali anche l’Italia. Anna Oliviero Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo dell’Università La Sapienza di Roma, riecheggiando certi argomenti dell’autore di Video Kids, afferma che la cosa più preoccupante dei videogiochi è la filosofia che li pervade: una filosofia in cui ciò che principalmente conta per vincere è essere violenti e nuocere agli altri. “Non importa ragionare troppo,” afferma la psicologa “l’importante è sparare ed uccidere”. Questo continuo incitamento alla violenza, che rappresenterebbe l’unico modo per ottenere il successo, potrebbe portare i ragazzi ad “abituarsi in una sorta di inquietante adattamento cognitivo”. A questo proposito la Ferraris cita una ricerca americana effettuata su un campione di soldati che combatterono in Vietnam e durante la Seconda Guerra Mondiale. Secondo questo studio, i primi, nel 95% dei casi sparavano senza pensare, “perché addestrati con metodi in stile videogioco”, mentre solo il 20% dei secondi teneva lo stesso comportamento; il restante 80% pensava a cosa stava facendo prima di sparare.

Questa ricerca fa pensare: prima di tutto viene da chiedersi che cosa si voglia intendere dicendo che i soldati della Seconda Guerra Mondiale pensavano a cosa stavano facendo prima di uccidere. Forse che si rendevano maggiormente conto di stare privando un altro uomo della vita? E come si è riusciti a stabilirlo? E poi, il fatto che pensassero prima di uccidere rende i soldati della Seconda Grande Guerra meno assassini rispetto a quelli che hanno combattuto in Vietnam? Infine, com’è possibile che questi ultimi venissero addestrati “con metodi in stile videogioco” quando i videogiochi erano ben lontani dall’essere realizzati?

La dottoressa cita come esempio DOOM della ID, un gioco sì molto violento, ma che verrà creato più di trent’anni dopo grazie a macchine infinitamente più potenti della più potente disponibile all’epoca. Domande, dunque, destinate a rimanere senza risposta vista l’impossibilità di trovare ulteriori dati sulla ricerca citata così come sui metodi di addestramento dei soldati che hanno partecipato alle due guerre di cui sopra.

Ma torniamo a DOOM, il gioco chiamato in causa dalla Ferraris: si tratta di uno sparatutto in soggettiva, in cui il giocatore si trova a dover impersonare un marine inviato su una base spaziale per sterminare un’invasione di mostri infernali. Il prodotto è effettivamente molto violento e capace di terrorizzare e coinvolgere come nessun altro. Il suo successo, quando uscì nel 1994, fu enorme come enormi furono le polemiche che suscitò: schiere di sociologi, psicologi, politici e semplici cittadini in tutto il mondo si trovarono concordi nel ritenere che DOOM fosse il gioco che avrebbe reso i giovani una massa di assassini a piede libero. E due inaspettati argomenti giunsero ad avvalorare questa loro tesi. Il primo fu la diffusione della notizia che l’esercito statunitense aveva adottato una versione modificata del capolavoro della ID per addestrare i propri soldati. Era la conferma: DOOM era estremamente pericoloso e doveva essere proibito. Affermazione questa, a prima vista del tutto logica e razionale, che riflettendo appare tuttavia quantomeno ambigua e offensiva... Almeno per i soldati statunitensi. Che cosa significa che DOOM sia stato adottato dall’esercito USA? Forse che è un gioco capace di allenare i riflessi e l’intelligenza? Ma allora perché considerarlo pericoloso? O forse si vuole dire che i ragazzi giocando a DOOM possono diventare come i soldati? E di nuovo ci si potrebbe chiedere: dov’è la pericolosità? Forse i soldati sono una manica di assassini a piede libero socialmente deleteri? Non credo che nessuno avrebbe il coraggio di fare una simile affermazione.

Ma come dicevamo poc’anzi c’è una seconda argomentazione che sembrerebbe confermare la tesi della pericolosità sociale del gioco della ID e di riflesso di tutti i videogiochi violenti, argomentazione ben più seria e disturbante. Il 29 Aprile del 1999 Eric Harris e Dylan Klebold, dopo una mattiniera partita a bowling, entrarono nella loro scuola, la Columbine High School, a Littleton, in Colorado, armati di bombe, fucili automatici e pistole ed uccisero 13 fra insegnanti e studenti, ferendone altri 23 prima di rivolgere le armi contro se stessi. L'America cadde nel terrore, nella più cupa disperazione, tutti cercavano un movente per le azioni dei due giovani, volevano qualcuno che rispondesse per ciò che essi avevano fatto, volevano un colpevole. Il Centro Simon Wiesenthal lo trovò: nei propri archivi scoprì infatti una versione modificata dello stesso DOOM, creata dai due ragazzi, in cui il protagonista poteva sparare contro esseri umani disarmati. La condanna fu unanime, l’associazione dei genitori dei ragazzi uccisi fece causa alla ID per milioni di dollari e di nuovo divamparono le polemiche contro i giochi violenti.

Ma a ben vedere anche questo tragico evento non conferma affatto la pericolosità di DOOM, né di nessun altro gioco, per quanto violento possa essere. Spinge semmai a pensare che i videogiochi possono scatenare dei comportamenti violenti o antisociali in soggetti già affetti da una qualche patologia, ma questi stessi comportamenti possono trovare ispirazione in qualsiasi altro ambito, dal cinema, alla televisione, ai libri. Può sembrare incredibile ma alla fine del XVIII secolo, quando uscì il libro I dolori del giovane Werther, si accusò Goethe di essere responsabile dell’ondata di suicidi che si abbattè sull’Europa.

Non bisogna dimenticare che erano stati i due giovani a creare la versione modificata di DOOM ritrovata dal Centro Wiesenthal, segno che non è stato il gioco a scatenare un così terribile atto ma che essi lo hanno modificato ed utilizzato per sfogare un istinto che probabilmente covavano nel profondo. Forse, se DOOM non ci fosse stato, l’istinto omicida dei due giovani sarebbe esploso anche prima. La strage alla Columbine spinse comunque due professori di psicologia, Craig A. Anderson, docente alla Columbia e Karen E. Dill, del Lenoir-Rhyne College, a svolgere una ricerca che potesse in qualche modo stabilire definitivamente se i videogiochi violenti rappresentassero o meno un pericolo per la psiche dei giovani. I due ricercatori hanno studiato il comportamento di 227 e 210 giovani americani. Con il primo studio gli psicologi hanno cercato di capire se l’aggressività di alcuni studenti potesse essere messa in relazione con la loro attitudine ad utilizzare videogame violenti. “Abbiamo notato” ha detto Anderson “che i ragazzi che dichiaravano di aver usato ai tempi delle scuole medie e superiori i giochi più violenti, avevano dimostrato poi comportamenti più aggressivi”.

Per il secondo esperimento i ricercatori hanno diviso i ragazzi in due gruppi, i primi sono stati fatti giocare con Wolfenstein 3D, un gioco molto simile a DOOM, mentre i secondi hanno dovuto cimentarsi con Myst, un’avventura grafica assolutamente non violenta. In seguito a tutti i ragazzi è stato chiesto di “punire” un avversario con un rumore a scelta. Si è così osservato che quelli che erano stati esposti al gioco violento tendevano a scegliere rumori più forti e fastidiosi. “Questo studio ha dimostrato” ha spiegato la Dill “il rapporto di causalità fra videogiochi violenti e aggressioni”.

Infine, per il terzo esperimento, ai ragazzi è stato chiesto di dire in media quante ore al giorno passavano davanti ai videogame. Mettendo in relazione i dati così ricavati con il rendimento scolastico dei singoli soggetti si è potuto osservare che “quanto più tempo avevano trascorso in passato davanti ai videogiochi, tanto più bassi erano i loro voti”.

Questa ricerca, portata spesso a dimostrazione dell’effettiva dannosità dei videogiochi per lo sviluppo morale e cognitivo dei giovani, è in realtà ben poco convincente. Innanzitutto mettere in relazione, come fanno i due psicologi americani, gli atteggiamenti aggressivi di certi giovani con l’utilizzo pregresso di videogiochi violenti non significa stabilire fra le due cose un rapporto di causalità. Infatti, non avendo potuto studiare i giovani prima che questi utilizzassero i giochi incriminati, cioè nell’infanzia, come si può dire che gli atteggiamenti aggressivi siano stati istillati in loro dai videogiochi? È assai più probabile che un temperamento più aggressivo abbia invece spinto i giovani a giocare con giochi più violenti in quanto per loro più interessanti e congeniali. Probabilmente un appassionato di calcio in gioventù avrà giocato spesso a calcetto, ma chi direbbe che è stato quest’ultimo a far nascere in lui la passione per il calcio? Semplici inclinazioni naturali spingeranno gli appassionati di calcio a giocare a calcetto, e non a tennis per esempio, e gli individui più aggressivi a giocare a videogame violenti piuttosto che con Barbie.

Il secondo studio presenta altrettante falle del primo soprattutto perché non è stata condotta alcuna controprova ai risultati dell’esperimento. Sarebbe stato utile far svolgere il compito dei suoni anche prima dell’esposizione ai giochi violenti, oppure sottoporre ai due gruppi entrambi i giochi, sia Wolfenstein che Myst, per verificare se l’equazione suono forte = videogioco violento fosse mantenuta valida. In ogni caso dire che scegliere un suono forte sia la dimostrazione di un carattere aggressivo mi sembra un’affermazione piuttosto azzardata.

Il terzo esperimento, infine, ha bisogno di ben poche parole: il fatto che maggiore è il numero delle ore passate davanti ai videogiochi più bassi sono i voti scolastici è del tutto logico ed evidente, ma non perché i prodotti videoludici compromettano, in qualche modo, lo sviluppo intellettivo dei ragazzi, quanto piuttosto perché più tempo si passa a giocare (non importa a quale gioco), meno tempo si dedica allo studio, con conseguente caduta del rendimento scolastico. Effetto che sicuramente ogni ragazzo ha verificato sulla propria pelle, con grande rabbia dei genitori. Tra l’altro, contemporaneamente a questa ricerca, in America ne è stata svolta un’altra, anch’essa per la verità non del tutto convincente, che però ha ottenuto risultati diametralmente opposti. Pubblicata nel settembre del 2000 da Psicologonline (www.psicologonline.it), un sito italiano dedicato alla psicologia, essa dimostrerebbe l'innocuità dei videogiochi.

Lo studio ha esaminato un gruppo di 35 bambini e bambine fra gli 8 e i 12 anni, ai quali è stato sottoposto un questionario che ne misurava l’aggressività. In seguito essi sono stati fatti giocare con un videogame violento e uno non violento per 15 minuti ciascuno per poi verificarne le reazioni a nuove situazioni. Dall'esperimento sarebbe emerso che non esiste nessuna relazione diretta fra l’utilizzo di giochi violenti e le reazioni nella vita reale ad una situazione difficile. Questa ricerca, divenuta la bandiera di coloro che vogliono dimostrare che i videogiochi non sono pericolosi, si espone, come dicevamo, a parecchie critiche. Innanzitutto 35 soggetti sono pochi per poter trarre conclusioni che siano valide universalmente, per non parlare poi del tempo di esposizione ai giochi davvero troppo esiguo per poter davvero decidere della loro nocività. “È evidente che la variabile temporale è importante” ha detto Gabriele Lo Iacono, psicoterapeuta e curatore del sito psicologonline, “perché più aumenta l’esposizione, maggiore è il rischio di apprendere comportamenti aggressivi”. Tuttavia Lo Iacono ha fatto notare come la rappresentazione di eventi che risultino poco vicini alla realtà, quali quelli contenuti nella maggioranza dei videogiochi, difficilmente possano influenzare i giovani.

Su questo punto concorda anche il Professor Francesco Antinucci, direttore della sezione Processi Cognitivi e Nuove Tecnologie dell’Istituto di Psicologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il quale avrebbe verificato sperimentalmente l’effetto della violenza sui bambini. L’esperimento avrebbe dimostrato che più la violenza di un videogioco è esagerata, più tende a essere relegata in un contesto irreale e fantastico, privo di contatti con la realtà, e tale contesto la renderebbe completamente ininfluente sui bambini. Da una ricerca sulla violenza in televisione sarebbe emersa un’ulteriore verifica di questo esperimento. Sarebbe infatti emerso che i film con scene di sparatorie con decine di morti avrebbero un impatto minore sui giovani di quelli in cui la violenza è solo accennata. L’impatto più forte sarebbe risultato quello della violenza mostrata nei telegiornali, perché “ il bambino non è un pazzo che non distingue la realtà dalla fantasia” dice Antinucci “al contrario, impara a distinguere la realtà dalla non realtà già da quando ha nove, dieci mesi”.

Il professor Antinucci, autore fra l’altro di Un computer per mio figlio, ci tiene anche a sfatare altri miti sui videogiochi, primo fra tutti la convinzione che questi comprometterebbero lo sviluppo cognitivo dei giovani. Secondo il professore infatti i prodotti videoludici non sarebbero altro che strumenti che spingono al ragionamento attivando e allenando tutte le parti del cervello, “quelle più esteriori, come la percezione e la motricità” dice Antinucci, “vengono esercitate dai giochi di abilità fisica (...), mentre le partì più profonde, più intellettuali, logiche e simboliche, vengono esercitate dai giochi di strategia, di calcolo, di costruzione e così via. (...) Il videogioco coinvolge tutti gli aspetti dell’intelligenza: senso motoria, rappresentativa e formale”.

Sostanzialmente concordanti con le tesi del professor Antinucci sono le posizioni espresse dalla giornalista e masmediologa J.C. Herz, che nel suo libro Il popolo del joistick si lancia in una difesa, a dire il vero fin troppo faziosa e superficiale, dei videogiochi. Dopo aver dato praticamente per scontato l’innocuità degli stessi, che sarebbero “una parodia fumettistica della violenza nel mondo reale”, la giornalista passa a spiegare la ragione della forte attrattiva che i videogame esercitano sui ragazzi. Secondo la Herz i giovani sono attratti da questo tipo di prodotti, “non perché (siano stati) trasformati in piccoli zombi atavici” dalle varie case produttrici, né perché condizionati dai film e dagli spettacoli televisivi altrettanto violenti, ma semplicemente perché “sin dalle prime letture dell’infanzia (i bambini si sono) esaltati alle gesta di guerrieri coperti di sangue che strappano gli arti ai loro nemici”. Questo si traduceva in passato nel leggere Beowulf o l’Iliade, mentre oggi nell’“innalzare le lodi di un personaggio da sala giochi particolarmente spietato in un gruppo di discussione in internet”.

Quindi, secondo la scrittrice, la violenza dei moderni giochi elettronici è rapportabile a quella dei passati componimenti epici o dei romanzi d’azione: affermazione che lungi dallo spiegare perché esista nei giovani questa attrazione per la violenza, appare anche piuttosto superficiale. Accostare direttamente la lettura di un libro all’utilizzo di un videogioco può essere quanto meno fuorviante, tenuto conto che se per entrambe le attività i fenomeni di immedesimazione possono essere gli stessi, non si può non riconoscere che l’interattività tipica dei videogiochi comporta livelli di coinvolgimento assai più elevati. Prova ne sia il fatto che un libro dell’orrore, anche il più inquietante dei capolavori di Lovecraft, ben difficilmente potrà trasmettere le stesse sensazioni di terrore che si possono provare giocando a giochi come i due Silent Hill.

Secondo alcuni psicologi sarebbe proprio l’interattività a rendere i videogiochi più pericolosi di un film o di un libro. Infatti questa implicherebbe nei giocatori l’effettiva scelta di aggredire violentemente l’avversario, diversamente da ciò che accade nel cinema o nei racconti nei quali, per quanto possano essere forti i meccanismi identificativi col protagonista, le azioni violente di quest’ultimo sono vissute solo passivamente, da spettatori appunto. Questa violenza vissuta e decisa dal videogiocatore in prima persona potrebbe avere profonde ricadute sul suo comportamento sociale. Tornando al libro della Herz, la giornalista conclude il capitolo dedicato alla violenza dei videogiochi con una serie di affermazioni forse un po' troppo frettolose liquidando un argomento che avrebbe meritato una ben più vasta trattazione. La scrittrice si chiede infatti se davvero la violenza dei videogiochi sia così trasgressiva e risponde negativamente, constatando che spesso i comportamenti violenti nei giochi sono tenuti da soggetti che, in qualche modo, stanno dalla parte della legge anche se la applicano con maggior... trasporto potremmo dire. A suffragio di questa tesi porta l’esempio di alcuni giochi quali Virtua Cop e Narc, in cui effettivamente il giocatore indossa i panni di agenti della polizia. “Se non altro” conclude la Herz “insegnano ai ragazzi ad avere paura degli sbirri”, o potrebbero ispirarli a diventare persino poliziotto loro stessi.

Argomentazioni quanto meno equivoche perché se i videogiochi in cui si impersonano le forze dell’ordine possono spingere i ragazzi ad arruolarsi, allora i molti giochi in cui si impersonano dei malviventi possono spingerli a diventare fuorilegge. D’altronde questo genere di giochi non viene neppure menzionato dalla Herz, come anche dall’Antinucci, il quale si limita a parlare dei giochi in cui la violenza è pur sempre mantenuta in un qualche ambito di legalità. Evidentemente entrambi non ritengono di poter estendere con leggerezza anche a quest’ultimo genere di prodotti le loro convinzioni. A questo proposito conviene però rammentare che un numero sempre maggiore di psicologi vedono in questo genere di giochi un efficace mezzo catartico per i giovani, per liberarsi da quegli istinti profondi e oscuri che albergano in ogni uomo. Lungi dall’essere nocivi, dunque, anche giochi come GTA, in cui si impersona un ladro-omicida-mafioso, sarebbero anzi di giovamento per i ragazzi, che tramite essi sfogherebbero impulsi più o meno consci che nella quotidianità restano sempre nascosti, ma che a volte possono esplodere pericolosamente.
nando1000
00martedì 9 novembre 2004 04:37
complimenti per il topic,davvero molto costruttivo,ecco cosa ne penso:

:padrino :moschetti :dartagnan :starwars2 :spada :cecchino

:violent blackeyes :mitra :anym :ahia: :blackdead :devil :tiè :tiè :cess :horrible :devil :box :bruce :army2 :box2 :starwars :box1 :spadaccin :rambo


non so se ho reso l'idea:surprise
Snake One
00martedì 9 novembre 2004 04:47
Re:

Scritto da: nando1000 09/11/2004 4.37
complimenti per il topic,davvero molto costruttivo,ecco cosa ne penso:

:padrino :moschetti :dartagnan :starwars2 :spada :cecchino

:violent blackeyes :mitra :anym :ahia: :blackdead :devil :tiè :tiè :cess :horrible :devil :box :bruce :army2 :box2 :starwars :box1 :spadaccin :rambo


non so se ho reso l'idea:surprise



Non credo che tu abbia giocato troppo ai videogiochi (perchè secondo me non creano violenza), credo che tu sia un serial killer vero e proprio:Sm9: :Sm18:
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